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La rabbia dei lavoratori Stellantis: “Se ci licenziamo…”

Il settore dell’automobile versa in una crisi nera da anni, il Gruppo Stellantis in forte sofferenza: la rabbia del lavoratori.

Da qualche anno il settore dell’automobile versa in una crisi che più nera non si può. Tale scenario è determinato da molteplici fattori, il crollo delle vendite è dovuto ai prezzi esorbitanti delle auto nuove, aumentati in maniera spropositata negli ultimi 5 anni. Le famiglie europee fanno sempre più fatica ad acquistare una vettura nuova, anche perché una semplice utilitaria ormai costa attorno i 20 mila euro. Uno sproposito.

Operai in protesta (autodelgiorno.it)

Ciò determina un calo della domanda, con gli automobilisti che rivolgono lo sguardo al mercato dell’usato. Ma il prezzo elevato delle nuove vetture è determinato dalla crisi delle materie prime, sempre meno reperibili, dall’inflazione dovuta ai conflitti geopolitici, e anche dalle nuove tecnologie applicate alle vetture, le quali richiedono maggiori costi di costruzione. In tutto ciò, a rimetterci sono i lavoratori, in protesta da mesi.

Lavoratori in protesta da mesi: negli stabilimenti Stellantis si lavora a singhiozzo

A rimetterci sono tutti i marchi, tutte le aziende automobilistiche stanno affrontando una fortissima crisi, che non sembra avere fine. Ora, inoltre, ci si mettono anche i dazi annunciati dal presidente USA Donald Trump, i quali darebbero un’ulteriore mazzata al settore, facendo registrare perdite enormi sull’export. Tra i marchi in sofferenza c’è anche il colosso Stellantis, il quale ingloba decine di marchi automobilistici.

Negli stabilimenti di Stellantis si lavora a singhiozzo, con alcune sedi chiuse, altre costrette a lavorare col minimo della produzione, e con gli operai in cassa integrazione, oppure con lo stipendio ridotto che spesso neanche arriva a mille euro al mese. Una situazione pesantissima, dove si lavora nell’incertezza. E poi ci sono le multe inferte dalla UE per favorire la transizione Green, che penalizzano l’endotermico.

Il Gruppo Stellantis (autodelgiorno.it)

Esplode così la rabbia dei lavoratori, come quelli di Trasnova, ditta che si occupa di trasportare i veicoli prodotti da Stellantis dagli impianti italiani in tutto il paese. Con il calo delle domande, Trasnova è quasi ferma, nonostante la proroga ricevuta per il 2025. Gli operai dovranno essere ricollocati, poiché il destino della ditta è ormai certo. Solo negli ultimi due anni, il settore auto ha perduto 100 mila posti di lavoro.

Stellantis e la crisi del settore: non si riesce a trovare una via d’uscita

Gli stabilimenti aprono e poi richiudono. Ad esempio, lo stabilimento di Piedimonte San Germano, in provincia di Frosinone, ha riaperto lo scorso 27 gennaio. In questa sede, ogni giorno, si producevano circa 200 vetture. Ora non si produce quasi più nulla e lo stabilimento dovrà richiudere il prossimo 14 febbraio, per poi riaprire il 24. Il 2025 sarà disastroso, e così anche il 2026.

I lavoratori percepiscono tra le 900 e i 1.000 euro al mese. Le istituzioni dovrebbero intervenire, per adeguare gli stipendi italiani, che sono i più bassi in Europa, e rapportarli al costo della vita. Tra l’altro, chi è un cassa integrale percepisce il 65% dello stipendio, quando dovrebbe percepire il 100%. Ci dovrebbe essere una giustizia sociale

Stabilimento automobilistico (autodelgiorno.it)

Anche lo stabilimento Stellantis di Melfi vive una crisi profonda, molti operai si sono già licenziati, stufi della situazione incerta e degli stipendi miseri. Melfi vive grazie allo stabilimento, se se ne vanno tutti, la città rischia la desertificazione. In primavera, non a caso, saranno disposti i nuovi incentivi all’esodo, con tanti lavoratori in attesa di intascare la buonuscita per poi trasferirsi.

C’è forte malcontento nella sede e tra gli operai, si teme che la stessa Stellantis stia mettendo in atto un piano preciso: mandare via tutti, per poi, tra qualche anno, trasferirsi in altri paesi, più vantaggiosi, dove il costo del lavoro è inferiore. Alcuni affermano che la realtà industriale di Melfi è quasi defunta, così come quella dell’intera Basilicata.

Andrea Cerasi

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